FINANZIARE LA RIQUALIFICAZIONE PROFONDA DEGLI EDIFICI

finanziare la riqualificazione

I nuovi incentivi fiscali a favore della riqualificazione energetica dei condomini figurano tra le “Misure per la crescita” indicate nella legge di Bilancio per il 2017 e testimoniano la volontà di promuovere la diffusione di queste attività, ritenute prioritarie.

Resta però ancora irrisolto il nodo del coinvolgimento della finanza privata a sostegno degli incentivi decennali. Chi quotidianamente opera a stretto contatto con questo segmento del mercato sa bene quanto sia complicato promuovere interventi profondi che richiedono molte risorse, di cui spesso i condòmini non dispongono.

Ne parliamo con Virginio Trivella, coordinatore del Comitato scientifico di Rete Irene, che della riqualificazione profonda degli edifici ha fatto la propria mission.

Nuovi incentivi, nuove norme, attività di sensibilizzazione sempre più diffusa… Siamo sulla buona strada?

Gli ultimi mesi sono stati ricchi di novità interessanti. Sono state avviate importanti iniziative per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della trasformazione energetica degli edifici. E’ stato introdotto un nuovo incentivo specifico che indirizza l’attenzione sul miglioramento degli involucri per ridurre i fabbisogni di energia. E’ stata estesa a tutti la facoltà di cedere le detrazioni fiscali a soggetti capienti, eliminando il timore della gente di non poterne fruire. E’ iniziata una seria riflessione sulla necessità di un aggiustamento dei requisiti tecnici obbligatori che, pensati per le nuove costruzioni, in molti casi si adattano con grande fatica alle riqualificazioni degli edifici esistenti, fino a renderle troppo costose e impraticabili. Sono tutti aspetti per i quali ci siamo battuti, per convincere i decisori politici che non si trattava solo di rendere stabili i vecchi incentivi, ma di trasformarli profondamente per orientarli verso attività, prioritarie, che non venivano realizzate nonostante la presenza dell’ecobonus.

Si riferisce alle riqualificazioni profonde, alla deep renovation degli edifici?

Esattamente. Mi riferisco a quegli interventi in grado di ridurre anche di tre quarti il dispendio di energia degli edifici. Cioè quelli che, se realizzati su grande scala, sono in grado di concretizzare la roadmap di decarbonizzazione europea, cioè la riduzione entro il 2050 dei consumi di energia dell’80-95% rispetto al 1990. Questo equivale a un tasso annuo di riqualificazione del 3% degli edifici e implica investimenti dell’ordine di qualche decina di miliardi di euro per anno. Ma per fare questo occorre anticipare ingenti capitali, in attesa della fruizione degli incentivi decennali e della materializzazione del risparmio energetico generato dalle riqualificazioni. E per evitare di vanificare la spinta propulsiva degli incentivi occorre che i prestiti siano semplici da ottenere e costino il meno possibile.

E su questo fronte cosa sta succedendo?

Alcuni soggetti si stanno attrezzando. Rete Irene per esempio ha stipulato alcune convenzioni che consentono ai condomìni di disporre di prestiti decennali a tassi moderati, grazie alla fiducia riposta da alcune banche nella capacità degli interventi di generare risparmio. Ma il meccanismo potrebbe essere di gran lunga ottimizzato se, attraverso una modifica legislativa che stiamo promuovendo, si potesse realizzare una connessione organica tra il meccanismo di incentivazione e gli strumenti di finanziamento, attraverso la cessione delle detrazioni fiscali ai finanziatori. Questo è l’elemento che ancora manca per trasformare una domanda largamente inespressa in azioni concrete a favore dello sviluppo economico e della protezione dell’ambiente.

Già ora è possibile cedere le detrazioni, avendo in cambio il denaro per pagare gli interventi…

Sì, però non è possibile cedere le detrazioni alle banche e agli altri intermediari finanziari istituzionali, cioè quei soggetti che sarebbero in grado di offrire le migliori condizioni. Non dimentichiamo che la BCE continua a riversare sulle banche un fiume di denaro a costo zero con la finalità di trasferirlo all’economia reale. Escludere le banche dal meccanismo delle detrazioni fiscali ha l’assurda conseguenza di impedire questo trasferimento in modo efficiente, che sarebbe reso possibile dalla garanzia di poter disporre degli incentivi, che oggi è un fatto concreto grazie proprio alla possibilità di cedere le detrazioni.

Al contrario, oggi si è costretti a cedere le detrazioni a soggetti non finanziari, affrontando difficoltà che probabilmente sono sfuggite a chi ha scritto questa norma. I singoli condomini devono individuare soggetti cessionari capienti e interessati ad acquisire una moltitudine di detrazioni di piccolo taglio e ad anticipare il denaro per dieci anni. Probabilmente bisognerà ricorrere ad intermediari e a passaggi di mano, con maggiore complessità di gestione, allungamento della filiera cedente-cessionario e un sensibile incremento dei costi. A quali condizioni i cessionari non finanziari saranno disposti ad acquistare le detrazioni? E’ un sistema che, a ben vedere, non conviene nemmeno allo Stato perchè l’aumento del costo degli interventi implica anche un aumento degli incentivi. Per non parlare dei problemi di trasparenza e dei rischi di infiltrazione di attività illegali.

La conseguenza è che, per questa via, i nuovi incentivi hanno una possibilità di successo molto limitata. Complicazioni e costi elevati sono la migliore ricetta per non fare niente, soprattutto se a decidere è l’assemblea di un condominio. Invece, un organico coinvolgimento dei soggetti finanziari nel meccanismo delle detrazioni consentirebbe di ottimizzare le procedure, minimizzare i costi e rendere davvero efficiente il sistema. E tutto ciò in un momento in cui primari soggetti creditizi mostrano un convinto interesse a finanziare l’efficienza energetica. Tra l’altro, le stesse considerazioni riguardano anche l’incentivazione della riqualificazione sismica degli edifici.

Sembrerebbe tutto molto chiaro…

Temo che non sia proprio così. A fronte di evidenti vantaggi sociali, economici, ambientali di un vasto piano di trasformazione energetica e sismica dello stock immobiliare che sarebbe indotto da una politica efficace di incentivazione, davvero non si comprende il permanere della ritrosia a coinvolgere sistematicamente nel meccanismo incentivante la finanza istituzionale che, a detta di tutti, anche degli stessi rappresentanti governativi, è la chiave dello sviluppo.

Il motivo che viene raccontato nei convegni è che la cessione delle detrazioni a soggetti finanziari, che poi le utilizzerebbero per alimentare strumenti di cartolarizzazione, determinerebbe un incremento della spesa pubblica. Questo non è vero, per un motivo molto semplice: dato che la facoltà di cessione delle detrazioni a soggetti terzi capienti è ora concessa a tutti i contribuenti, la realizzazione di attività incentivabili corrisponde di per sé a un impegno certo per il bilancio pubblico, a prescindere dalla natura finanziaria degli eventuali cessionari e dagli strumenti adottati per la canalizzazione dei flussi finanziari. Quindi, cedere le detrazioni alle banche non cambierebbe nulla.

Non può essere che il vero problema sia il timore che gli incentivi funzionino “troppo bene”?

Sarebbe davvero curioso se il timore riguardasse solo la capacità di stimolo di incentivi dedicati ad attività che oggi stentano a diffondersi (la riqualificazione profonda degli edifici condominiali), quando sembra del tutto trascurato in altri ambiti (le ristrutturazioni edilizie e, tra le riqualificazioni energetiche, la sostituzione degli infissi) che mostrano un utilizzo di risorse da dieci a cento volte maggiore e che, obiettivamente, implicano vantaggi inferiori per la collettività. In ogni caso, l’utilizzo dell’incentivo potrebbe essere governato nella sua entità complessiva in misura compatibile con la pianificazione della spesa pubblica, con la fissazione di contingenti annui, come si fa già con altri incentivi.

Ma non sembra nemmeno questo il problema, dato che, per quel che si sente dire, il Governo sembra impegnato a trovare una soluzione al problema dei finanziamenti. La soluzione che si sta delineando, però, non ci sembra quella ottimale.

Una soluzione per favorire la cessione degli incentivi e finanziare gli interventi?

Si tratterebbe della creazione di un mercato “parallelo” a quello finanziario, per favorire la circolazione delle detrazioni fiscali cedute, da cui però i soggetti finanziari continuerebbero a rimanere esclusi. Se ciò dovesse essere confermato, resterebbero immutate le nostre preoccupazioni per l’opacità del meccanismo e l’aumento dei costi di sistema.

Noi invece abbiamo proposto di rimuovere il divieto di cessione alle banche, con la finalità di accorciare la filiera, ridurre i costi e migliorare la trasparenza del meccanismo. In termini pratici i soggetti finanziari, così come gli altri soggetti cessionari oggi autorizzati, potrebbero utilizzare le detrazioni cedute esclusivamente in compensazione di propri debiti fiscali o contributivi o, in alternativa, cederle ad altri.

Poste queste condizioni, non si vede alcun motivo pratico, economico o regolamentare che giustifichi una norma che impedisce alle banche di svolgere il proprio ruolo di finanziatore e, nel contempo e se necessario, di intermediario e facilitatore tra cedenti e cessionari. Il costo delle anticipazioni finanziarie sarebbe minimizzato e anche quello dell’intermediazione delle detrazioni sarebbe ottimizzato, sia in relazione alla quota utilizzata “in proprio” dalle banche che a quella ri-ceduta ad altri soggetti. Considerata la pervasività degli istituti finanziari in tutti i settori dell’economia, la loro capacità di individuare altri soggetti cessionari verso cui canalizzare “pacchetti” di detrazioni raccolte non dovrebbe essere problematica. Potrebbe essere stimolato lo sviluppo, all’interno degli istituti, di attività specializzate nella gestione integrata del finanziamento ai condomini e nella gestione delle detrazioni.

Questa soluzione non avrebbe alcuna possibilità di tramutare le minori entrate del bilancio pubblico in maggiori uscite e non determinerebbe alcun incremento di deficit. Contribuirebbe a semplificare i processi di finanziamento degli interventi condominiali, minimizzerebbe i costi di transazione e renderebbe meno ardua la formazione del consenso nelle assemblee condominiali, con grande beneficio per la diffusione delle riqualificazioni profonde.

Si parla anche di un ruolo delle utilities nella promozione dell’efficienza energetica.

E’ un’altra soluzione che va studiata con cura, se non si vuole promuovere un modello sbagliato, confliggente con gli interessi della collettività e vantaggioso solo per pochi soggetti.

Si potrebbe pensare che il ricorso ai grandi venditori di energia possa eliminare il problema dell’allungamento della filiera: potrebbero occuparsi della progettazione e realizzazione degli interventi, del loro finanziamento e della raccolta e fruizione delle detrazioni fiscali dei loro clienti. Il loro interesse a dedicare la propria capacità finanziaria allo sviluppo di queste attività sarebbe giustificato dalla prospettiva di fidelizzare la clientela mediante contratti di fornitura di energia di lunga durata.

Per evitare di commettere gravi errori strategici bisogna però mettere le cose nella giusta prospettiva. Gli interventi compatibili con gli obiettivi della roadmap europea di decarbonizzazione sono caratterizzati da drastiche riduzioni dei fabbisogni di energia, investimenti cospicui e lunghi tempi di ritorno. Il mercato nazionale della deep renovation è immaturo sia per penetrazione, sia per qualità della domanda; in questa condizione, la domanda rischia di essere orientata verso target di efficienza insufficienti e di gran lunga inferiori a quelli tecnicamente possibili. Le utilities sono totalmente estranee a questo mercato; gli interventi di riqualificazione degli involucri non appartengono alle loro prassi e cultura aziendale ed esse devono gestire un evidente conflitto d’interessi tra la riduzione dei fabbisogni di energia degli immobili e la vendita di energia. Inoltre esse occupano una posizione dominante e sono in grado di influenzare agevolmente le scelte dei consumatori.

Di conseguenza?

La combinazione di questi aspetti lascia prevedere che, in assenza di meccanismi di regolazione cogenti, di cui però i promotori del ruolo delle utilities non parlano affatto, prevarrebbero gli interessi antagonisti a quelli della committenza. Gli interventi promossi sarebbero quelli maggiormente convenienti per le utilities cioè, probabilmente, quelli meno impegnativi in termini finanziari, appena sufficienti per accedere agli incentivi e minimamente ambiziosi in termini di riduzione dei consumi. In assenza di una cultura diffusa della riqualificazione profonda, la domanda difficilmente sarebbe in grado di valutare il proprio interesse e di imporrre itinerari di efficientamento più ambiziosi.

Il rischio, per il sistema-Paese, sarebbe di accomodarsi su uno standard di riqualificazione lontano da quello della deep renovation, perdendo sistematicamente le occasioni di trasformazione energetica profonda e bloccando l’efficienza degli edifici gestiti dalle utilities a un livello mediocre per molti altri decenni.

La nostra proposta è che i grandi venditori di commodities, in funzione della loro posizione dominante e di vantaggio rispetto agli altri operatori, in grado di accedere ai dati dei consumatori e di condizionarne facilmente le scelte, per poter accedere alle detrazioni fiscali dovrebbero assicurare tassi di riduzione dei fabbisogni di energia rigorosi, compatibili con lo standard NZEB, ponendosi in concorrenza con le migliori offerte tecniche di riqualificazione profonda proposte dal mercato. Solo a queste condizioni, il loro ruolo di promozione dell’efficienza potrebbe volgersi a vantaggio per il Paese e si configurerebbe come un utile complemento di altri modelli di finanziamento diretto degli utenti.

Resta il fatto che, a parità di prestazioni, il ruolo di intermediazione delle utilities energetiche tra gli utenti finali e i realizzatori degli interventi non può che determinare un incremento dei costi, anche per il bilancio pubblico che incentiva gli interventi.

Posto a confronto, il modello alternativo del finanziamento diretto dei condomìni da parte di soggetti finanziari autorizzati a gestire le detrazioni sembra molto più efficiente. E inoltre il coinvolgimento delle utilities ben difficilmente risponderebbe all’esigenza di finanziare, tramite la cessione delle detrazioni, gli interventi stimolati dal sismabonus. Il diretto coinvolgimento delle banche rispenderebbe meglio anche alle necessità del miglioramento sismico.

Si tratta quindi di una scelta tra modelli alternativi?

Sì, si tratta di una scelta strategica, per il Paese, tra un modello di incentivazione molto efficace, in grado di assolvere rapidamente alla sua funzione e di esplicarsi nella sua potenzialità espansiva (che oggi è IL problema, ancor più dell’entità del debito pubblico), e altri modelli poco efficaci e per di più suscettibili di generare maggiori costi di sistema e di non raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

Una scelta di natura non solo tecnica ma soprattutto politica, riferibile al più ampio piano della strategia energetica e climatica di cui il Paese deve comunque dotarsi, e rapidamente.

L’ottimizzazione dei costi che deriverebbe dall’adozione di un modello molto efficace consentirebbe di accelerare la diffusione delle riqualificazioni profonde collocandole tra le prassi consolidate, e lascerebbe prefigurare anche una progressiva riduzione dell’intensità degli incentivi necessari.

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