IL NUOVO SUPERBONUS 90%: A CHI GIOVA?

Superbonus 90%

In vigore dal 19 Novembre il Superbonus 90% è l’ennesima modificata per la misura più travagliata della storia degli incentivi fiscali del nostro Paese.

La motivazione addotta dal Governo per questo ennesimo correttivo è la necessità di ridurre il peso degli incentivi sul bilancio pubblico. Ma si otterrà veramente un risparmio per le casse dello Stato?
Insieme a Virginio Trivella vediamo nel dettaglio le modifiche introdotte, come è stato calcolato il costo degli incentivi, i crediti incagliati e il futuro del mercato della riqualificazione degli edifici.

L’art. 9 del DECRETO-LEGGE 18 novembre 2022, n. 176Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica”, ha introdotto nuove importanti modifiche alla disciplina del Superbonus e della cessione dei crediti.

  • comma 1.a.1 La riduzione della percentuale di detrazione del 110%, già prevista per il 2024 al 70% e per il 2025 al 65%, è anticipata per il 2023 al 90%.
  • comma 2 La riduzione al 90% non si applica agli interventi per i quali entro il 25 novembre 2022 sia effettuato il deposito della CILA S. Nel caso si tratti di edifici condominiali, la delibera che ha approvato l’esecuzione dei lavori deve essere adottata entro il 24 novembre 2022. Lo stesso vale per gli interventi di demolizione e ricostruzione per i quali al 25 novembre 2022 deve risultare avviato l’iter di acquisizione del titolo abilitativo.
  • comma 1.a.2  Per gli edifici singoli con lavori già in corso (per i quali entro il 30 settembre 2022 sia stato sostenuto almeno il 30% delle spese) la detrazione del 110% è ammessa anche per le spese sostenute dopo il 31 dicembre 2022, ma solo fino al 31 marzo 2023.
  • comma 1.a.3  Gli edifici singoli sono riammessi alla detrazione del 90% per le spese effettuate nel 2023, ma solo a condizione che siano sostenute dai proprietari o da altri soggetti titolari di diritti reali di godimento dell’unità immobiliare, che questa sa adibita ad abitazione principale, e che i soggetti abbiano un reddito di riferimento non superiore a 15.000 euro. Il “reddito di riferimento” è pari alla somma dei redditi posseduti da tutti i componenti del nucleo familiare del contribuente che sostiene le spese, divisa per un numero che dipende dalla numerosità del nucleo (comma 1.b).
  • comma 1.c Per gli edifici adibiti a strutture sanitarie del terzo settore, la detrazione del 110% è estesa alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2025.
  • comma 3 Per i soggetti con reddito inferiore a quello di riferimento è prevista la costituzione di un fondo da 20 milioni di euro per la corresponsione di un contributo, con criteri che saranno determinati da un futuro decreto. Secondo quanto è stato dichiarato, la finalità di questo contributo è di coprire (probabilmente in parte, in funzione delle richieste) la quota di spesa non incentivata.
  • comma 4 Al fine di ampliare la capacità di assorbimento dei crediti d’imposta da parte del sistema finanziario, i soggetti che detengono nei propri cassetti fiscali crediti derivanti da Superbonus e oggetto di Comunicazione CIR inviata entro il 31 ottobre 2022 possono optare per la loro fruizione in dieci anni in luogo degli originari quattro o cinque.

La motivazione addotta dal Governo per giustificare il nuovo provvedimento d’urgenza è la necessità di ridurre il peso degli incentivi sul bilancio pubblico e di correggere gli effetti regressivi causati dal Superbonus 110%. Il Presidente Meloni ha infatti affermato che il Superbonus ha causato un buco di 38 miliardi” e che “ne hanno beneficiato prevalentemente i ricchi”.

A questa motivazione si aggiunge la necessità di sbloccare i crediti incagliati, insistentemente sottolineata dalle associazioni di categoria a tutela degli operatori in gravissima crisi di liquidità e dei cittadini rimasti con i lavori a metà, che ha indotto il Governo ad aggiungere all’ultimo momento il comma 4.

Non entriamo qui nel merito dei “costi” e dei “buchi”, utilizzati dal Governo in una narrazione affrettata e imprecisa, che contrasta con le conclusioni di un numero crescente di rapporti sviluppati da eminenti istituti di ricerca economica e sociale. E non entriamo nel merito dei commenti su chi ha beneficiato finora del Superbonus, che meriterebbero uno specifico approfondimento documentato e che invece sembrano appartenere alla stagione degli slogan elettorali.

La nostra esperienza mostra una realtà diversa.

Ci preme invece fare qualche considerazione sugli aspetti tecnici del nuovo Superbonus 90%.

1 – La diminuzione del costo degli incentivi

Il primo obiettivo (diminuire il costo degli incentivi) è affidato alla riduzione anticipata dell’incentivo dal 110% al Superbonus 90% a partire dal 2023.

Non si può non notare che il raggiungimento di questo obiettivo sia controverso perché la nuova norma riduce la percentuale di detrazione ma contemporaneamente riammette al beneficio le spese sostenute nel 2023 per gli edifici singoli, sia pure con stringenti limiti reddituali.

Risulta dalla Relazione tecnica del decreto che l’effetto finanziario previsto in conseguenza della modifica è un “risparmio” di 4,5 miliardi ottenuto dalla contrazione del 20% degli interventi sui condomini, parzialmente compensato da nuove spese per gli edifici singoli per 2,5 miliardi e per le strutture sanitarie del terzo settore per circa 100 milioni. Il risparmio di 1,8 miliardi è destinato a finanziare altri capitoli di spesa introdotti dal decreto.

Io credo che difficilmente nel 2023 i “risparmi” sugli interventi condominiali si verificheranno nella misura prevista, se è vero che le CILA-S presentate nelle ultime settimane nei più grandi Comuni stanno raggiungendo il numero di quelle dei primi dieci mesi dell’anno. La riduzione dei cantieri sperata dal Governo non sarà causata dal Superbonus 90%, ma dalle difficoltà a piazzare i crediti d’imposta.

Al contrario, la riammissione degli edifici singoli determinerà sicuramente un incremento di spesa, anche se in misura difficile da prevedere a causa dell’introduzione del “reddito di riferimento”.

Io sono convinto che alla fine del prossimo anno scopriremo che a lasciare le cose come stavano per il 2023 (senza la riduzione anticipata al Superbonus 90%), lo Stato avrebbe speso di meno.

E che inoltre non si sarebbe stimolata una nuova corsa a ristrutturare le villette a causa del nuovo termine di fine 2023. Si sarebbe invece potuto dedicare serenamente l’anno a completare i lavori iniziati e non ultimati che, alla fine del 2022, ammonteranno a qualcosa come dieci miliardi di euro.

2 – Come è calcolato il costo degli incentivi

Ancora una volta non si possono non esprimere forti perplessità su come siano stati calcolati i maggiori e minori oneri: i valori indicati nella Relazione tecnica del decreto lasciano trasparire l’applicazione di ipotesi che contrastano con l’evidenza che tutti gli interventi incentivati devono essere regolarmente fatturati e dichiarati.

E invece risulta che l’IVA e le imposte dirette generate dalle attività economiche aggiuntive sugli edifici unifamiliari sono calcolate solo in misura pari una piccola frazione di quelle che ci si può ragionevolmente attendere.

Specularmente, la riduzione delle entrate fiscali causata dalla contrazione delle attività nei condomini è calcolata in misura incomprensibilmente limitata, determinando un “risparmio” superiore a quello che probabilmente si verificherà.

Ancora una volta, i criteri adottati divergono in misura macroscopica dalle conclusioni a cui pervengono tutti gli studi degli autorevoli istituti di ricerca socioeconomica che negli ultimi anni si sono cimentati nell’esercizio di stimare il costo degli incentivi e il reale impatto sui conti pubblici.

È interessante osservare che il dibattito che si è recentemente animato grazie all’attività dei portatori d’interesse non è ancora riuscito a coinvolgere chi ha la responsabilità della finanza pubblica.

3 – Il miglioramento dell’equità degli incentivi

Per gli edifici singoli, la maggiore equità è affidata all’applicazione del “reddito di riferimento” per l’accesso al Superbonus 90% e alla sua limitazione alle unità immobiliari adibite ad abitazione principale.

In modo opportuno, si è ritenuto di non poter effettuare distinzioni tra i proprietari delle diverse unità immobiliari in condominio senza compromettere drasticamente l’efficacia della misura di incentivazione.

Non è facile dare un giudizio oggettivo su questa norma, anche a causa della novità dell’applicazione del criterio del “reddito di riferimento”.

Qualche dubbio può essere espresso considerando l’aleatorietà a cui può essere soggetto il reddito di un singolo anno e l’arbitrarietà del criterio di calcolo sotteso alla determinazione del “reddito di riferimento”.

Sicuramente l’introduzione del limite reddituale avrà un peso molto rilevante nella riduzione degli interventi che potranno essere incentivati, soprattutto a causa delle attuali difficoltà nell’individuare soggetti disposti ad acquistare i crediti d’imposta. Questa combinazione di fattori sta portando molti commentatori ad affermare che la nuova norma andrà ad agevolare preferibilmente i contribuenti meno fedeli.

Per contro, per agevolare la popolazione meno abbiente è stato istituto un fondo da 20 milioni di euro.

La nuova norma non è scritta in modo molto lineare, ma pare di capire che l’accesso alle risorse del fondo, che sarà consentito ai contribuenti che possiedono un reddito inferiore a quello di riferimento, riguarderà le spese sia per edifici singoli sia per edifici condominiali, incluse quelle per gli interventi trainati.

La finalità, non esplicitata nel testo di legge, dovrebbe essere quella di contribuire al sostenimento delle spese non incentivate che, nello specifico, sono di due tipi: la quota non coperta dall’incentivo (il 10%, nel caso del Superbonus 90%) e gli oneri di attualizzazione finanziaria nel caso di esercizio dell’opzione della cessione o dello “sconto in fattura”, che attualmente si attestano tra il 15% e il 20% del valore nominale dei crediti ceduti.

Anche limitando il calcolo alla sola quota non incentivata (10%), l’entità delle risorse destinate al fondo per il 2023 sarebbe sufficiente a coprire integralmente la quota relativa a spese per soli 200 milioni di euro.

Al di là delle buone intenzioni del Governo, è evidente che questa misura, nella misura in cui è finanziata, sarà irrilevante.

4 – Lo sblocco dei crediti incagliati

Quanto allo sblocco dei crediti, credo che, per come è congeniato, il nuovo provvedimento determinerà un altro sonoro fallimento, oppure sarà pagato a caro prezzo da operatori stremati che avranno un’alternativa a quella di rivolgersi agli strozzini.

Per quale motivo le banche dovrebbero dimezzare il rendimento dei crediti che già detengono “allungandoli” volontariamente a dieci anni? Non certo per fare un favore al sistema, ma per fare più soldi. Come? Aumentando il costo delle cessioni future per recuperare la perdita di rendimento dei crediti “allungati”.

Oggi la differenza del costo di cessione tra crediti a quattro e a dieci anni è come minimo del 15%.

Sempre che ci sia qualche banca che voglia cimentarsi con questa sfida, questo è il maggior costo che dovranno scontare le nuove cessioni, indifferentemente dalla loro durata (tutte contribuiranno a far recuperare l’onere dell’”allungamento”). La vendita dei crediti decennali incagliati non costerebbe meno del 45% del loro valore nominale.

In più, non vi è alcuna garanzia che le banche riserveranno il loro maggior spazio fiscale all’acquisto dei crediti incagliati, ma potrebbero saturarlo rapidamente preferendo i più sicuri crediti nuovi e tracciabili.

Con questo rimedio, i vecchi crediti incagliati continueranno a restare dove sono. Anche a causa delle recenti sentenze della Corte di Cassazione che hanno distrutto le certezze sulla responsabilità solidale faticosamente raggiunte dopo mesi di inutili modifiche normative.

La conversione in legge e il futuro dell’incentivazione

Alla luce di tutte queste considerazioni, mi pare che il decreto-legge sarà praticamente inutile: non servirà a far risparmiare risorse allo Stato (ma questo, se hanno ragione CRESME, CENSIS e LUISS non deve preoccupare, anzi!).

Il decreto-legge così come è approdato in Gazzetta Ufficiale non risolverà il problema dei crediti incagliati e la drammatica situazione di una moltitudine di operatori che, un mese dopo l’altro, sono sempre più prossimi alla catastrofe.

La macchina degli emendamenti è già partita e, naturalmente, tutti gli schieramenti sono animati da ottime intenzioni.

Vedremo se questa volta il MEF vorrà risolvere davvero il problema o se vorrà continuare a giocare sulla pelle degli operatori. Vedremo anche se sarà sua intenzione risolvere una volta per tutte la separazione delle responsabilità dei delinquenti da quelle dei cessionari in buona fede.

Poi resta il tema del futuro degli incentivi.

Al Governo nessuno si è ancora reso disponibile a parlare di obiettivi e di mezzi per raggiungerli. L’impressione è che chi è al timone non sappia o non voglia considerare che l’incentivazione dell’efficienza energetica non è una sovvenzione, ma uno strumento per raggiungere un obiettivo. Non trovare nulla di meglio che chiudere i buchi ammazzando gli investimenti rivela una grave mancanza di strategia.

Il Governo si è detto favorevole a un tavolo di confronto ma, considerate le vicende delle ultime settimane, affinché il confronto sia svolto in buona fede e non sia sterile occorre, a parere di chi scrive, la presenza di alcuni presupposti:

  • che si smetta di parlare solo di costi e di buchi, che non fanno altro che distorcere la realtà, fuorviare l’opinione pubblica e alimentare le divisioni sociali
  • che si riconosca che gran parte del maggior gettito registrato in questi mesi (che consente al Governo di fare cose che altrimenti non si potrebbe permettere) arrivano proprio dallo straordinario successo del Superbonus
  • che si riconosca che il contrasto di interessi tra domanda e offerta (quello che effettivamente è mancato in un primo periodo con il 110%, ma che aveva ben precise motivazioni sostenute da tutti i partiti) è già una realtà: da quando le banche hanno raddoppiato il costo dell’acquisto dei crediti, i cittadini hanno già un Superbonus 90%
  • che si riconosca che la “cessione per tutti” è il miglior modo di rendere socialmente equo l’incentivo e che, essendo una facoltà concessa dalla legge, è un diritto (potenziale)
  • che si riconosca che la responsabilità del carattere regressivo che si vuole attribuire al superbonus è in realtà dovuta agli ostacoli che nell’ultimo anno sono stati posti alla circolazione dei crediti, favorendo solo chi non ha bisogno delle opzioni alternative alla detrazione diretta
  • che si riconosca l’esigenza di attivarsi immediatamente per risolvere al più presto i drammatici problemi causati dalla trappola finanziaria in cui gli operatori sono stati indirizzati
  • che si riconosca che, senza un sistema efficace e non speculativo di circolazione dei crediti, proporre un incentivo Superbonus 90% è un atto di ipocrisia politica
  • di conseguenza, che si riconosca l’urgenza di ristabilire le condizioni affinché la circolazione dei crediti torni ad avere una dimensione coerente con quella dell’offerta, affinché quel diritto potenziale alla cessione ritorni a essere una realtà.

Con questi presupposti, è possibile impostare un dialogo utile sui modi più opportuni di attuare un piano industriale, coerente con la strategia di efficientamento del patrimonio immobiliare e con gli obiettivi di decarbonizzazione e autonomia dalle fonti fossili di energia.

Virginio Trivella, coordinatore del comitato tecnico e scientifico di Rete IRENE.

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